CONTRAFFAZIONE

Con il termine contraffazione si indica la violazione dei diritti vantati dall'imprenditore sull'utilizzo dei segni distintivi dei prodotti della propria impresa.

Il termine contraffazione si lega a due fenomenologie:

1. produzione e commercializzazione di merci che recano illecitamente un marchio identico all'originale in modo da essere scambiate per quest'ultimo;

2. la produzione illecita di beni coperti da copyright (pirateria).

N.B.:- La Legge n. 99/2009 del 23 luglio 2009, (GU n. 176 del 31 luglio 2009) contenente "Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonchè in materia di energia" ha modificato gli artt. 473, 474 e 517 del codice penale inasprendo le sanzioni previste in materia di marchi.

Le nuove disposizioni prevedono le seguenti sanzioni:

1. fino a 4 anni di reclusione e 35.000,00 di multa, per chi introduce nello Stato merce contraffatta;

2. fino a 3 anni di reclusione e 25.000,00 di multa, per chi usa, contraffà o altera marchi altrui;

3. fino a 2 anni di reclusione e fino a 20.000,00 di multa, per chi detiene prodotti contraffatti.

Art. 473 del Codice Penale

Contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell'ingegno o di prodotti industriali

Chiunque, potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, ovvero chiunque, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 2.500 a euro 25.000.

Soggiace alla pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 3.500 a euro 35.000 chiunque contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o

esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati. I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale»;

La responsabilità penale di chi contraffa o altera i marchi

Sul fronte delle condotte punibili, l’art. 473 c.p. reprime anzitutto le condotte di contraffazione o alterazione. Incrimina chi ha contraffatto o alterato un marchio nazionale od estero, ovvero senza essere concorso nella contraffazione o alterazione ha fatto uso di tali marchi.

Per una corretta interpretazione della norma è necessario precisare cosa debba intendersi per contraffazione e alterazione del marchio.

Per contraffazione deve intendersi la condotta tesa a far assumere al marchio falsificato qualità tali da ingenerare confusione sull’autentica provenienza del prodotto, con possibile induzione in inganno dei consumatori, (riproduce nei suoi elementi essenziali il marchio registrato riprodotto in modo integrale).

Si ha, invece, alterazione, quando il marchio contraffatto si presenta come imitazione di quello genuino (modificazione parziale tanto da confondersi con l’originale) aggiungendo od eliminando elementi marginali.

La condotta punibile deve comunque cadere sul segno distintivo oggetto di registrazione e non sugli strumenti (punzone, stampo, cliché, ecc.) necessari per riprodurre il segno mediante l’eliminazione o l’aggiunta di elementi costitutivi marginali.

( La vendita o messa in circolazione di un marchio non contraffatto ma alterato, può essere, inoltre, penalmente rilevante ex articolo 517 c.p., quando, pur avendo pochi tratti di somiglianza con quello originario, risulti ingannevole sulla provenienza).

La stessa legge n. 99 ha inoltre modificato l’art. 473 c.p., da un lato intervenendo sul piano dell’elemento soggettivo, dall’altro inasprendo l’apparato sanzionatorio, prevedendo espressamente che il minimo edittale non possa essere inferiore ai sei mesi, e innalzando la multa fino a 25.000 euro, per le condotte aventi ad oggetto marchi e segni distintivi e portando la pena della reclusione fino ai quattro anni, con un minimo edittale di uno, e la multa fino a 35.000 euro, nelle ipotesi di contraffazione di brevetti, disegni e modelli industriali.

L’oggetto giuridico di questa norma non consiste, però nella tutela del marchio, bensì in quella dell’ordine economico, che deve essere garantito contro gli inganni tesi ai consumatori).

In particolare, in giurisprudenza, si afferma che è tutelata la pubblica fede in senso oggettivo, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, e non l’affidamento del singolo: non è quindi necessario, per integrare il reato, che sia realizzata una situazione tale da indurre il cliente in errore sulla genuinità del prodotto.

Presupposto della tutela penale del marchio è che lo stesso sia stato depositato, registrato e brevettato nelle forme di legge. Ciò in quanto la tutela penale dei marchi è finalizzata alla garanzia dell’interesse pubblico preminente della fede pubblica e solo indirettamente a quello privato del soggetto inventore.

Chiarissima in questo senso è una sentenza della Cassazione in un caso di contraffazione di marchi noti nel mondo della moda ma non ancora applicati ad alcun capo di vestiario (Cass., V, 5 novembre 2001 n. 1195):

“...per quanto riguarda la dedotta insussistenza dell'elemento materiale del reato, rileva la corte che il precedente giurisprudenziale citato dal ricorrente è del tutto minoritario e non risponde all'orientamento sostanzialmente consolidato di questa Corte, secondo cui l'interesse giuridico tutelato dalla norma dell'art. 473 c.p. (in piena coincidenza con quello dell'art. 474 c.p.) è la "pubblica fede" in senso oggettivo, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi che individuano le opere dell'ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, e non l'affidamento del singolo, sicché non è necessario per integrare il reato che sia realizzata una situazione tale da indurre il cliente in errore sulla genuinità del prodotto. Al contrario, il reato può sussistere - se la contraffazione sia oggettivamente realizzata - anche se il compratore è stato messo a conoscenza dallo stesso venditore della non autenticità del marchio (cfr. ex plurimis Cass. 11 ottobre 2000 - 14 dicembre 2000, n. 13031, ric. Ndong, 5 gennaio 1999 - 5 marzo 1999, n. 3028, ric. Dessetti). Nell’ipotesi di cui all'art. 473 c.p., inoltre, non è neppure necessario per la ricorrenza del reato che il marchio contraffatto raggiunga il consumatore individuale, in quanto la condotta sanzionata consiste nella contraffazione o alterazione, ovvero nell'uso del marchio o del segno distintivo contraffatto o alterato da altri, e detto uso non necessariamente si identifica con la cessione al consumatore potendo realizzarsi in una fase anteriore alla collocazione sul mercato del prodotto recante il marchio contraffatto...”.

Il reato in esame (ambedue le condotte previste dai due commi) si configura come reato di pericolo concreto, posto che non si richiede la lesione della fede pubblica: non è, cioè, necessario un effettivo collegamento tra attività illecita e percezione della stessa da parte dei destinatari, ossia del pubblico.

L'integrazione dell'elemento oggettivo richiede invece la specifica attitudine offensiva della condotta, vale a dire l'effettivo rischio di confusione per la generalità dei consumatori.

Art. 474 del Codice Penale

Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi

Fuori dei casi di concorso nei reati previsti dall'articolo 473, chiunque introduce nel territorio dello Stato, al fine di trarne profitto, prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati è punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 3.500 a euro 35.000.

Fuori dei casi di concorso nella contraffazione, alterazione, introduzione nel territorio dello Stato, chiunque detiene per la vendita, pone in vendita o mette altrimenti in circolazione, al fine di trarne profitto, i prodotti di cui al primo comma è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000.

I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale»;

Art. 474-bis del Codice Penale

Confisca

Nei casi di cui agli articoli 473 e 474 è sempre ordinata, salvi i diritti della persona offesa alle restituzioni e al risarcimento del danno, la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l'oggetto, il prodotto, il prezzo o il profitto, a chiunque appartenenti.

Quando non è possibile eseguire il provvedimento di cui al primo comma, il giudice ordina

la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al profitto. Si applica il terzo comma dell'articolo 322-ter.

Si applicano le disposizioni dell'articolo 240, commi terzo e quarto, se si tratta di cose che

servirono o furono destinate a commettere il reato, ovvero che ne sono l'oggetto, il prodotto, il prezzo o il profitto, appartenenti a persona estranea al reato medesimo, qualora questa dimostri di non averne potuto prevedere l'illecito impiego, anche occasionale, o l'illecita provenienza e di non essere incorsa in un difetto di vigilanza.

Le disposizioni del presente articolo si osservano anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma del titolo II del libro sesto del codice di procedura penale.

Art. 474-ter del Codice Penale

Circostanza aggravante

Se, fuori dai casi di cui all'articolo 416, i delitti puniti dagli articoli 473 e 474, primo comma, sono commessi in modo sistematico ovvero attraverso l'allestimento di mezzi e attività organizzate, la pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 5.000 a euro 50.000.

Si applica la pena della reclusione fino a tre anni e della multa fino a euro 30.000 se si

tratta dei delitti puniti dall'articolo 474, secondo comma.

Art. 474-ter del Codice Penale

Circostanza attenuante

Le pene previste dagli articoli 473 e 474 sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti del colpevole che si adopera per aiutare concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nell'azione di contrasto dei delitti di cui ai predetti articoli 473 e 474, nonchè nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura dei concorrenti negli stessi, ovvero per la individuazione degli strumenti occorrenti per la commissione dei delitti medesimi o dei profitti da essi derivanti»;

Art. 517 del Codice Penale

Vendita di prodotti industriali con segni mendaci

Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti ad indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a ventimila euro;

Art. 517-bis del Codice Penale

Circostanza aggravante

Le pene stabilite dagli articoli 515, 516 e 517 sono aumentate se i fatti da essi previsti hanno ad oggetto alimenti o bevande la cui denominazione di origine o geografica o le cui specificità sono protette dalle norme vigenti. Negli stessi casi, il giudice, nel pronunciare condanna, può disporre, se il fatto è di particolare gravità o in caso di recidiva specifica, la chiusura dello stabilimento o dell'esercizio in cui il fatto è stato commesso da un minimo di cinque giorni ad un massimo di tre mesi, ovvero la revoca della licenza, dell'autorizzazione o dell'analogo provvedimento amministrativo che consente lo svolgimento dell'attività commerciale nello stabilimento o nell'esercizio stesso.

Art. 517–ter del Codice Penale

Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale

Salva l'applicazione degli articoli 473 e 474 chiunque, potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000.

Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato,

detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i beni di cui al primo comma. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474-bis, 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma.

I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili sempre che siano state osservate

le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali

sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.

Art. 517 del Codice Penale

Circostanza attenuante

Le pene previste dall’ articoli 517-ter sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti del colpevole che si adopera per aiutare concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nell'azione di contrasto dei delitti di cui al predetto articolo 517-ter, nonchè nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura dei concorrenti negli stessi, ovvero per la individuazione degli strumenti occorrenti per la commissione dei delitti medesimi o dei profitti da essi derivanti».

Gli Articoli 517 e 474 del Codice Penale

Più frequentemente il marchio non è ne alterato ne contraffatto bensì solo imitato utilizzando gli stessi caratteri di una marca nota, integrando il delitto ex art. 517 c.p. L'art. 474 c.p. introduzione nello stato e commercio di prodotti con segni falsi si pone in un momento successivo a quello dell'atto materiale della contraffazione o dell'alterazione del marchio ed è volto a tutelare la pubblica fede e si distingue dall'art. 517 che tutela l'ordine economico.

La giurisprudenza si è poi sbizzarrita sul falso grossolano e sulla sua impossibilità ad influire sulla libera determinazione del compratore perchè inidoneo a trarlo in inganno. La produzione di borse con forme e marchi che richiamano griffe famose non integra il reato di contraffazione di marchio, quando la qualità, i particolari, il prezzo, le modalità di vendita, non sono idonee a ingannare nessuno sulla loro natura, né integra il reato di frode in commercio, dal momento che l’acquirente è perfettamente a conoscenza che sta acquistando una imitazione (ordinanza del Tribunale di Bolzano in data 02.08.2006) precedentemente la Corte di Cassaz. Sez. Penale sent. 2119/2000 ritenne impossibile (ex art. 49 co. 2 c.p.) il reato di cui all’art. 474 c.p., quando l’evidente scarsità qualitativa del prodotto, il suo prezzo eccessivamente basso, le condizioni di vendita siano rivelatori agli occhi di un acquirente dotato di media esperienza della falsa provenienza del bene contraffatto ai sensi dell’art. 49 co. 2 c.p. (reato impossibile). Infatti la punibilità è esclusa quando per l’inidoneità dell’azione o per l’inesistenza del suo oggetto è impossibile l’evento dannoso o pericoloso.

* falsi sempre puniti – l’imitazione grossolana di prodotti di marca, non salva il detentore dal reato – risponde di commercio di prodotti con segni falsi, anche se borse cinti e abiti mal imitati (Cass. Sez. penale sent. 29377 del 23.08.2006) perché il reato di cui all’art. 474 c.p. è volto a tutelare non la libera determinazione dell’acquirente ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei consumatori nei marchi, quali segni distintivi della particolare qualità e originalità dei prodotti messi in circolazione.

Ciò è criticabile perchè il reato ex art. 474 ha come elemento oggettivo la falsificazione del marchio e ciò non attiene alla qualità del prodotto, tanto più che la tutela della pubblica fede è reato di pericolo per cui non è necessaria la realizzazione dell'inganno ma è sufficiente la circolazione del bene. Da indagini potrebbe anche essere accertato il reato di ricettazione ex art. 648 c.p. infatti acquistare oggetti con marchi contraffatti, avendo coscienza della contraffazione, integra gli estremi della ricettazione, in quanto l’oggetto con marchio contraffatto è il risultato di un reato, e non può essere acquistato o ricevuto a scopo di profitto.

La responsabilità penale di chi fa commercio di prodotti con marchi

contraffatti o alterati:

Fuori dal concorso nel reato di cui all’articolo 473 c.p. , fuori dunque dal concorso nella falsificazione del marchio, l’articolo 474 del Codice Penale, rubricato:” Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi “, sanziona chiunque introduce nel territorio dello Stato per farne commercio, detiene per vendere o pone in vendita, o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali con marchi contraffatti o alterati.

Il reato sanziona, dunque, chi detiene per vendere e chi pone in vendita merce con marchi contraffatti. Per realizzare il reato non è necessario che l’agente compia concrete trattative per la vendita della merce, essendo sufficiente che abbia coscienza di detenere cose contraffatte destinate alla vendita.

Una questione rilevante riguarda se sia configurabile il reato quando, o per la scarsa qualità del prodotto, o per il prezzo vile richiesto, o per le modalità della vendita , l’acquirente poteva rendersi conto, o effettivamente si rende conto della contraffazione. La Corte di Cassazione ( per tutte 232832/2005 ) partendo dal bene giuridico tutelato dalla norma, la fede pubblica, ha ritenuto che la valutazione della liceità penale della vendita di prodotti contraffatti o alterati deve prescindere dall’effettivo inganno del compratore. La posizione del singolo acquirente trova protezione solo ed in quanto si atteggia ad emanazione parziale dell’intera collettività, sicchè la grossolana contraffazione del marchio (che esclude il reato) non può essere desunta sulla base dei soli elementi circostanziali delle condizioni della vendita, del prezzo, della qualità. Può ritenersi, perciò, penalmente irrilevante solo la vendita di prodotti grossolanamente contraffati nel senso di prodotti la cui falsità è inidonea a trarre in inganno la generalità dei cittadini sulla base di una valutazione ex ante riferibile a qualsiasi persona di comune discernimento e avvedutezza.

Altra questione, poi risolta dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 23427 del 2001, è se il commerciante di prodotti contraffatti risponda, in concorso con il reato di cui all’articolo 474 c.p., del reato di ricettazione. Le Sezioni Unite hanno chiarito che ricettazione e commercio di prodotti con segni falsi possono concorrere atteso che le fattispecie incriminatici descrivono condotte diverse sia sotto il profilo strutturale che cronologico.

Art. 648 del Codice Penale

IL REATO DI RICETTAZIONE

Diversamente, chi acquista quella medesima merce e lo fa con lo scopo di procurare a sé o ad altri un profitto • dunque la pone in vendita • commette il delitto previsto e punito dall’art. 648 c.p. ovvero ricettazione.

Anche in tal caso il corpo del reato è posto sotto sequestro nei termini anzidetti, ma per le modalità con cui è effettuata la vendita del prodotto stesso, non essendo minacciata la pubblica fede, non sono applicabili le pene previste per il reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti falsi, punito e previsto dall’art. 474 c.p. Diversamente, laddove le modalità di vendita o di offerta in vendita del prodotto possono fare ritenere che tale prodotto sia provento di delitto, ma non anche un falso (si pensi alla ipotesi di vendita per catalogo), i due delitti concorrono, posto che le due fattispecie delineano condotte ontologicamente e strutturalmente diverse. Infatti, da un canto la soggettività si identifica, nel reato di cui all'art. 474 c.p, nella volontà di detenere opere o prodotti industriali con marchio contraffatto per metterli in circolazione, laddove nel reato di ricettazione l'elemento soggettivo attiene alla volontà di ricevere o detenere, al fine di profitto, cose provenienti da qualsiasi delitto. Inoltre, è diversa l'oggettività giuridica dei due delitti, rappresentata nel primo caso dalla tutela della fede pubblica e, nell'altro, del patrimonio; mentre distinti sono anche gli scopi, essendo l'art. 648 c.p. volto ad impedire la generica circolazione di cose provenienti da delitto e l'art. 474 c.p. ad offrire una protezione della pubblica fede commerciale. (Tribunale Milano, 18 dicembre 2003). Ciò che più conta, nel delitto di contraffazione è previsto l’arresto facoltativo e nel caso in cui l’autore del delitto non sia identificabile o possa comunque darsi alla fuga od inquinare le prove, è possibile procedere al fermo di p.g.

La responsabilità penale dell’acquirente di prodotti contraffatti:

Dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 23427 del 2001 che ha stabilito per l’ammissibilità del concorso tra ricettazione e reato di commercio di prodotti con segni falsi, deve ritenersi recessivo l’orientamento giurisprudenziale e dottrinario che tendeva ad escludere il reato di ricettazione nell’acquisto di cose riproducenti marchi contraffatti, in quanto le cose contraffatte non sarebbero cose provenienti (originate) da delitto, come richiesto dall’articolo 648 c.p., ma costituirebbero esse stesse delitto (relative al delitto) – per cui deve ritenersi possibile che l’acquirente di merce contraffatta, consapevole della provenienza da reato (473 c.p.) di tali oggetti, che li acquisti al fine di procurare, a sé o ad altri, un ingiusto profitto commetta il reato di ricettazione (art. 648 c.p.).

Ove, però, l’acquirente non sia a conoscenza del reato presupposto ma, per semplice leggerezza, non si accerti della legittima provenienza di ciò che ha acquistato si sarà in presenza della fattispecie di minore intensità lesiva dell’incauto acquisto di cui all’articolo 712 c.p.. Mentre, infatti, nella ricettazione l’agente ha la consapevolezza della provenienza delittuosa della cosa acquistata o ricevuta, nell’ipotesi della contravvenzione di cui all’articolo 712 c.p. si assiste ad una condotta colposa del soggetto che si concretizza nel mancato accertamento della provenienza della cosa acquistata, malgrado questa presenti obiettivi segni di sospetto circa la sua illecita provenienza.

Inoltre, il decreto legge n. 35/2005 (noto come decreto sulla competitività, convertito nella Legge 14/5/2005 n. 80 e successive modificazioni). Prevede sanzioni fino a 10 mila euro per chi acquista un prodotto contraffatto, dal compact disk alla borsa.

Oltre ai reati penali per il venditore (contraffazione, ricettazione e vendita di oggetti con marchio mendace) la legge 35/05 prevede una sanzione pecuniaria da 20.000 a 1.000.000 € (pagabile entro 60 gg. con 40.000 €) e per l’acquirente, prevede la sanzione amministrativa da 500 a 10.000 € (pagabile entro 60 gg. con 1.000 €).

CONCLUSIONI

Negli ultimi tempi stiamo assistendo ad atteggiamenti da parte di forze dell’ordine di varie zone d’Italia, che, per arginare il fenomeno della vendita di prodotti falsi, colpiscono, contravvenzionando anche la persona che acquista materiale contraffatto. Certo che tale problematica necessiterebbe di una risposta adeguata alla gravità del fenomeno, anche tenuto conto dei più gravi reati che sottende o nasconde, con evidente riferimento allo sfruttamento della condizione di clandestinità.

Certamente le pene che a vario titolo possono colpire i c.d. “abusivi” hanno ben poca efficacia. I processi prevedono tempi eccessivamente lunghi, le espulsioni comportano un notevole dispendio di energia e di personale.

Dunque, l’ipotesi più diretta e che colpisce coloro i quali alimentano questo mercato, è quella dell’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal c.d. decreto legge sulla competitività n. 35 del 2005, convertito nella coeva legge n. 80.

L’art. 1, comma 7 del decreto citato prevede infatti quanto segue:

“Salvo che il fatto costituisca reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 euro euro fino a 10.000 euro l'acquisto o l'accettazione, senza averne prima accertata la legittima provenienza, a qualsiasi titolo di cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale. La sanzione di cui al presente comma si applica anche a coloro che si adoperano per fare acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcuna delle cose suindicate, senza averne prima accertata la legittima provenienza. In ogni caso si procede alla confisca amministrativa delle cose di cui al presente comma. Restano ferme le norme di cui al decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70 (1). Qualora l'acquisto sia effettuato da un operatore commerciale o importatore o da qualunque altro soggetto diverso dall'acquirente finale, la sanzione amministrativa pecuniaria é stabilita da un minimo di 20.000 euro fino ad un milione di euro. Le sanzioni sono applicate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni. Fermo restando quanto previsto in ordine ai poteri di accertamento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria dall'articolo 13 della citata legge n. 689 del 1981, all'accertamento delle violazioni provvedono, d'ufficio o su denunzia, gli organi di polizia amministrativa.”

Dunque, obbligo giuridico dell’accettante o dell’acquirente della merce, è quello di valutare la conformità del prodotto con quanto stabilito dall’odierno Codice della proprietà industriale, approvato con d. Lgs. 273/2002.

La disposizione introdotta dal d.L. 35/2005, replica, evidentemente, il testo dell’art. 712 del codice penale inerente l’acquisto di cose di sospetta provenienza

Probabilmente, se tale sanzione venisse applicata in modo sistematico, basterebbero ben pochi esempi per bloccare il fenomeno, almeno su grande scala. Certamente si formerebbe un mercato clandestino dell’abusivismo.

Ma in tal caso, l’acquirente finale porrebbe senz’altro in essere un’attività penalmente rilevante quale il favoreggiamento personale previsto e punito dall’art. 378 c.p.

Sanzioni penali ed amministrative a cui va incontro l’esercente il commercio abusivo su area pubblica che vende o espone per vendere prodotti con marchio contraffatto o mendace e l’acquirente finale.

1) verbale di accertamento a carico del soggetto ACQUIRENTE, per violazione dell’art.1 c.7 D.L.35/2005 convertito in L.80/2005, con sequestro amministrativo dell’oggetto della transazione.

2) CONTROLLO POSSESSO AUTORIZZAZIONE ALLA VENDITA SU AREE PUBBLICHE IN FORMA ITINERANTE (SE SPROVVISTO PROCEDURA EX ART. 28 D.LGVO 114/98, AMMINISTRATIVO, DA ALLEGARE A NOTIZIA REATO)

3) VERBALE SEQUESTRO 321 CPP PER REATO RISULTANTE DAL COMBINATO DISPOSTO DEGLI ARTT.. 473-474-517-721 C.P. (Seplice DETENZIONE (e non vendita o esposizione per la vendita) di prodotti con marchio contraffatto in violazione dell’art.474 C.P. o con marchio mendace in violazione dell’art.517 C.P., eventiualmente in concorso con art.648 C.P (ricettazione.

4) VERBALE IDENTIFICAZIONE,NOMINA DIFENSORE, ELEZIONE DOMICILIO

5) SE SPROVVISTO DI PERMESSO DI SOGGIORNO E DOCUMENTI (ART. 6 D.LGVO 286/98- NOTIZIA REATO-ACCOMPAGNAMENTO UFFICIO STRANIERI....ETC)

6) NOTIZIA REATO

Inoltre, a tutela del consumatore, il D.Lgs.06/09/2005 n.206 (Codice del consumo) prevede che tutta la merce posta in vendita debba avere un etichetta in lingua italiana. Inoltre, per evitare che venga commercializzata merce pericolosa, leggi specifiche del settore prevedono che molti prodotti, fra i quali giocattoli, materiale elettrico e occhiali da sole, debbano avere la marcatura CE che indica la conformità del prodotto alla normativa europea.

 

Normativa  Prontuario Verbale Perquisizione e sequestro
Accompagnamento   Comunicazione Notizia Reato

 

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